Marco Trombetti

Francobollo Olivetti

Discorso per il francobollo alla memoria di Adriano Olivetti

Ministero dello Sviluppo Economico, 15 Dicembre 2020

Ringrazio Il Sottosegretario Gian Paolo Manzella e il Ministero dello Sviluppo Economico per questo gentile invito. Saluto affettuosamente Beniamino de’ Liguori Carino del quale ammiro l’impegno nel portare avanti la Fondazione Adriano Olivetti.

Non posso parlarvi di Adriano Olivetti in maniera razionale e distaccata. Olivetti ha influenzato il mio pensiero e la mia vita e per questo potrei non essere obiettivo. Oggi, tutto quello che posso fare è condividere con voi una storia.

Ho iniziato la mia carriera di imprenditore all’età di 22 anni, nel 1998, stimolato dall’aver scoperto un magnifico nuovo strumento: Internet.

Mentre costruivo l’impresa, mio zio Pasquale, un abruzzese con la testa dura e dalla grande devozione al lavoro, fece due cose: mi regalò due scritti di Adriano Olivetti - che oggi possiamo leggere in “Ai lavoratori” e “Le fabbriche di bene” di Edizioni Comunità - e mi parlò della Olivetti Programma 101, il primo personal computer al mondo. Oppure, come la chiamano gli americani, forse più pragmatici o semplicemente più protettivi della loro supremazia tecnologica: la prima calcolatrice programmabile.

Credo che mi donò questi discorsi di Olivetti perché voleva assicurarsi che capissi non tanto come, ma perché fare impresa. Qual è il suo fine ultimo. Quei discorsi, con uno stile che a un ventenne apparivano distanti, di altri tempi, in realtà mi influenzarono profondamente. Ci riuscirono perché dietro a quello stile antico c’erano valori che resistevano al tempo.

Come seconda cosa, appunto, mi parlò della Programma 101.

Mio Zio lavorava ad Ancona, all’Istituto di Economia, presieduto da Giorgio Fuà, un consigliere di Olivetti. Gli misero a disposizione una delle primissime Programma 101, la matricola numero 2. Grazie a quel nuovo strumento, il suo lavoro cambiò. In meglio naturalmente. Potè automatizzare gran parte dei noiosi calcoli e spendere più tempo a concentrarsi sulla parte del lavoro che più lo appagava: ideare. Mio zio scoprì il piacere di guadagnare tempo grazie a uno strumento fatto per gli esseri umani.

Uno strumento progettato non per sostituire l’uomo, ma a suo supporto.

E’ stato quindi Adriano Olivetti, per il tramite benevolo di mio zio Pasquale, a insegnarmi che l’impresa può darsi un fine che va al di là del profitto e che creare strumenti per consentire alle persone di migliorarsi e crescere, non solo le aiuta, ma è un modo profittevole di fare impresa.

Il mondo in cui operava la fabbrica di Olivetti era diverso da quello in cui operiamo oggi. Da un’economia basata sui prodotti siamo passati ad un’economia dei servizi. Dal lavoro manuale, all’intelletto. Non possiamo prendere gli insegnamenti di Adriano Olivetti e applicarli alla lettera. Ma possiamo e dobbiamo tradurli, per renderli attuali.

Le aziende sono certamente cambiate, anche se quelle di successo continuano a dividersi ancora in due grandi categorie. Le prime sfruttano le debolezze umane: dipendenze come l’alcool, il tabacco, il gioco d’azzardo, lo zucchero e le più recenti, ma altrettanto pericolose, dipendenze psicologiche introdotte, ad esempio, dai social network. Queste aziende sono più facili da creare e più difficili da distruggere. Per lo più, non creano nuova ricchezza per la società, ma si limitano a spostarla da chi è più debole a chi è più forte.

Le seconde, invece, sono imprese più difficili da creare e purtroppo più fragili: costruiscono strumenti che ispirano e aiutano le persone a fare a loro volta grandi cose. Verso queste ultime provo un amore incondizionato.

Credo che nessuno di noi possa dire che cosa avrebbe fatto Olivetti, se fosse vissuto oggi. Ma non ho dubbi che avrebbe sostenuto i giovani imprenditori che creano queste seconde imprese. Lo avrebbe fatto con capitali propri, e avrebbe insegnato a questi imprenditori a coltivare il talento offrendo condizioni di lavoro migliori ai loro dipendenti. Li avrebbe aiutati e accompagnati per far prevalere le imprese che nobilitano l’uomo, su quelle che ne sfruttano le debolezze.

In base alla mia esperienza ho maturato una certezza: L’applicazione su scala della filosofia di Adriano Olivetti non è fallita perché utopica, ma per la sua morte precoce.

La pandemia che stiamo vivendo, oltre alle tragiche difficoltà, ci sta offrendo una grande opportunità di cambiamento. La Silicon Valley, amata dallo stesso Adriano e dal padre Camillo, che per anni ha attirato e sottratto, dai vari paesi, i migliori talenti, oggi sta vivendo l’esodo più importante dalla sua creazione. Un esodo che tende a ridistribuire il talento in maniera più uniforme sul nostro piccolo pianeta.

In questo giorno di tributo ad Adriano Olivetti, non posso che augurare che questo cambiamento indotto dalla pandemia porti alla creazione di nuove imprese olivettiane: meno aziende e stati imprenditori che sfruttano le debolezze umane e più imprese vicine alle loro rispettive comunità, nelle quali le persone e la loro felicità tornino ad essere il fine d’impresa.