Marco Trombetti

Come esprimere disaccordo

Traduzione italiana di How to disagree di Paul Graham

Marzo 2008

Il web sta trasformando la scrittura in conversazione. Mentre vent’anni fa gli scrittori scrivevano e i lettori leggevano, ora i lettori possono anche rispondere, e lo fanno sempre più spesso nei commenti agli articoli, nei forum e nei blog.

Chi risponde vuole in genere esprimere il proprio disaccordo. D’altronde, è prevedibile: le persone sono più motivate a replicare quando non sono d’accordo tra loro. Se si è d’accordo, si può aggiungere qualcosa, ma probabilmente le cose più interessanti sono già state dette dall’autore. Quando non si è d’accordo, si entra in un territorio che l’autore potrebbe non aver esplorato.

La conseguenza è che prevale il disaccordo, e questo viene espresso soprattutto a parole. Ciò non significa che la gente sia sempre più arrabbiata, tuttavia si è verificato un cambiamento strutturale nel modo in cui comunichiamo. Ma sebbene non sia la rabbia a provocare questo aumento di disaccordo, si corre il rischio che sia quest’ultimo a rendere le persone più arrabbiate, specialmente online, dove è facile scrivere cose che non si direbbero mai di persona.

Se siamo destinati a essere tutti in disaccordo, dovremmo stare attenti a farlo nel modo corretto. Ma cosa significa esprimere bene il disaccordo? La maggior parte dei lettori sa distinguere un semplice insulto da una replica ben ponderata, tuttavia credo sia utile dare dei nomi alle situazioni intermedie. Di seguito, ho cercato di elaborare una gerarchia del disaccordo.

DH0. Insulto.

Questa è la forma più bassa di disaccordo, e probabilmente anche la più comune. Tutti noi abbiamo letto commenti come questo:

6 un coglione!!!!!!!!!!

È importante tuttavia rendersi conto che un nomignolo più articolato ha lo stesso peso. Un commento come:

L’autore è un povero arrogante.

non è altro che una versione pretenziosa del primo insulto.

DH1. Ad Hominem.

L’attacco ad hominem non è debole quanto un semplice insulto. Anzi, in realtà potrebbe avere un certo peso. Per esempio, se un politico scrivesse un articolo in cui sostiene che gli stipendi dei politici dovrebbero essere aumentati, verrebbe da rispondere:

È normale che lo dica, è un politico!

Questo non confuterebbe l’argomentazione dell’autore, ma potrebbe introdurre un elemento potenzialmente rilevante. Si tratta comunque di una forma di disaccordo molto debole. Se c’è qualcosa di sbagliato in ciò che ha detto il politico, si dovrebbe dire di cosa si tratta. E se non c’è, che differenza fa che sia un politico?

Dire che un autore non ha l’autorità per scrivere su un determinato argomento è una variante dell’attacco ad hominem, e un tentativo particolarmente inutile, perché spesso le buone idee vengono proprio dall’esterno. La questione è sapere se l’autore ha ragione o meno. Se la sua mancanza di autorità lo ha portato a commettere errori, bisogna indicarli. E se così non fosse, allora il problema non si pone di certo.

DH2. Rispondere a tono.

Da questo livello, iniziamo a vedere le risposte all’argomento e non alla persona. La forma più bassa di queste consiste nell’essere in disaccordo con il tono utilizzato. Ad esempio:

Non posso credere che l’autore abbia respinto un progetto brillante in modo così arrogante.

Sebbene sia un gradino sopra rispetto all’attacco personale, si tratta comunque di una forma di disaccordo debole. È più importante capire se l’autore ha torto o ragione, piuttosto che esaminare il tono che ha utilizzato. Specialmente perché è molto difficile giudicare quest’ultimo. Qualcuno che ha un atteggiamento negativo riguardo a un determinato argomento potrebbe essere offeso da un tono che agli altri lettori è invece sembrato neutrale.

Quindi, se la cosa peggiore che si può dire di un’argomentazione consiste nel criticarne il tono, non si fa molta strada. Un autore che appare superficiale ma che ha ragione è più lodevole di uno serio che ha torto. Se invece l’autore ha sbagliato, bisogna dire in cosa.

DH3. Contraddizione.

In questa fase finalmente otteniamo risposte a ciò che è stato detto, piuttosto che a come o da chi. La forma più bassa di risposta a una discussione è semplicemente quella di affermare il caso opposto, con prove sufficienti o inesistenti.

Questo è spesso combinato con le istruzioni DH2, come in:

Non posso credere che l’autore respinga il design intelligente in modo così sprezzante. Il design intelligente è una teoria scientifica legittima.

La contraddizione a volte può avere un certo peso. A volte basta vedere il caso opposto dichiarato esplicitamente è sufficiente per vedere che è giusto. Ma di solito le prove aiuteranno.

DH4. Controargomentazione.

Al livello 4, troviamo la prima forma convincente di disaccordo: la controargomentazione. Le forme finora analizzate possono essere di solito ignorate perché non dimostrano nulla. La controargomentazione potrebbe invece provare qualcosa. Il problema è che è difficile dire esattamente cosa.

La controargomentazione è una contraddizione accompagnata da un ragionamento e da eventuali prove. Quando è rivolta all’argomentazione principale, può essere convincente. Ma purtroppo spesso questo non succede. Spesso due persone che discutono intensamente di qualcosa stanno in realtà parlando di due cose diverse. Possono essere persino d’accordo, ma sono talmente assorte nel loro battibecco che neanche se ne rendono conto.

C’è un valido motivo per argomentare contro qualcosa che differisce leggermente da ciò che ha detto l’autore, ossia quando si ritiene che gli sia sfuggito il nocciolo della questione. Ma quando lo si fa, bisognerebbe dirlo esplicitamente.

DH5. Confutazione.

La forma più convincente di disaccordo è la confutazione, ma è anche la più rara perché comporta uno sforzo maggiore. In effetti, la gerarchia del disaccordo è una sorta di piramide, più si sale e meno casi si trovano.

Per confutare qualcuno, bisogna probabilmente citarlo. È necessario trovare una “pistola fumante”, un passaggio in cui si è detto qualcosa di inesatto per poi spiegare perché è sbagliato. Se non si riesce a individuare la dichiarazione su cui non essere d’accordo, è probabile che si stia discutendo con una persona fittizia.

Mentre la confutazione implica in genere una citazione, la citazione non implica necessariamente una confutazione. Alcuni autori citano estratti di argomenti con cui non sono d’accordo per dare l’impressione di una confutazione legittima, per poi continuare il loro discorso con una risposta del DH3 o addirittura DH0.

DH6. Confutare il punto centrale.

La forza di una confutazione dipende dall’oggetto della stessa. La forma più significativa di disaccordo è quella in cui si confuta punto centrale di qualcuno.

Fino al livello precedente, possiamo assistere a una disonestà consapevole, per esempio quando si selezionano i punti di minore importanza di un’argomentazione per confutarli. A volte, si agisce in questo modo come forma più sofisticata di attacco ad hominem più che per una reale confutazione. Questo avviene ad esempio quando si correggono gli errori grammaticali o imprecisioni relative a nomi o numeri. A meno che l’argomento non dipenda effettivamente da questi aspetti, l’unico scopo è quello di screditare l’avversario.

Per una vera confutazione è necessario confutare il punto centrale e per poterlo fare, bisogna impegnarsi per capire quale esso sia. Ecco come dovrebbe essere una confutazione veramente efficace:

Il punto dell’autore sembra essere x.

Infatti, lui stesso ha detto:<Citazione>

Ma la sua affermazione è sbagliata per i seguenti motivi…

Non è necessario che il punto che si cita come errato sia una dichiarazione precisa dell’autore o il suo punto principale. È sufficiente confutare un elemento su cui questo si basa.

Conclusione

Ora abbiamo un modo per classificare le forme di disaccordo. Ma qual è la sua utilità? La gerarchia del disaccordo non ci permette di capire chi è il vincitore di una discussione. I vari livelli si limitano infatti a descrivere la forma di una dichiarazione, ma non la sua correttezza, e persino una risposta di livello 6 potrebbe essere del tutto sbagliata.

Ma mentre questa gerarchia non fissa un limite minimo alla persuasività di una risposta, ne fissa uno massimo. Una DH6 potrebbe non essere convincente, ma una DH2 o inferiore non lo è mai.

Il vantaggio più evidente della classificazione delle forme di disaccordo è che questa ci aiuta a valutare ciò che leggiamo, in particolare, a riconoscere le argomentazioni disoneste. Un oratore o uno scrittore eloquente può dare l’impressione di avere la meglio sull’avversario tramite l’utilizzo di parole convincenti. Questa è probabilmente la qualità che definisce un demagogo. Assegnando dei nomi alle diverse forme di disaccordo, forniamo ai lettori critici uno spillo per far scoppiare questi palloncini.

Queste etichette possono aiutare anche gli scrittori. Spesso la disonestà intellettuale è involontaria. Chi va contro il tono di un’argomentazione con cui non è d’accordo potrebbe essere davvero convinto di dire qualcosa. Fare un passo indietro e osservare la propria posizione nella gerarchia del disaccordo potrebbe spingere verso una controargomentazione o una confutazione.

Ma il più grande vantaggio di essere in disaccordo in maniera corretta non è solo quello di migliorare le conversazioni, ma anche di rendere più felici le persone coinvolte. Analizzando le conversazioni, si scopre che man mano che scendiamo da DH6 verso il basso nella piramide DH1, è ben più probabile trovare cattiveria. Non c’è bisogno di essere cattivi quando si ha qualcosa di vero da dire. Anzi, non conviene proprio. Se hai qualcosa di vero da dire, essere cattivi può essere solo di intralcio.

Se scalare la gerarchia del disaccordo rende meno cattivi, allora questo renderà molti di loro più felici. Alla maggior parte delle persone non piace essere cattive, ma si comporta così perché non riesce a farne a meno.